Alberto “Rotaia” Rota, il pilota highlander tornato in pista a 60 anni per lasciarsi tutti alle spalle
Nei secoli molte persone hanno intrapreso viaggi, spesso lunghissimi, percorrendo migliaia di chilometri lungo percorsi a volte…
Nei secoli molte persone hanno intrapreso viaggi, spesso lunghissimi, percorrendo migliaia di chilometri lungo percorsi a volte completamente sconosciuti, per inseguire un sogno: scoprire la fonte dell’eterna giovinezza, bere l’acqua prodigiosa che molte leggende affermavano permettesse di non invecchiare mai. Ad Alberto Rota, imprenditore nel settore della panificazione e della ristorazione, per trovarla è bastato un solo “viaggio”, neppure troppo lungo, su un percorso per di più conosciutissimo, per uno che decenni prima di “mestiere” faceva il pilota di moto, con la stoffa del campione. Già, perché alla soglia dei 60 anni, età in cui uno al massimo le gare di moto le guarda in tv, lui è tornato in sella, a distanza di oltre 30 anni dall’ultima gara, e non per recitare il ruolo della vecchia gloria, ma per lasciarsi tutti alle spalle, giungendo primo al traguardo davanti a piloti che avrebbero potuto essere suoi figli e, perfino in quale caso, suoi nipoti. Impresa possibile solo a un “immortale” che dalla sua fonte d’eterna giovinezza non ha attinto “acqua della vita”, come quella che antiche leggende volevano si nascondesse nel giardino dell’Eden, o nel sottosuolo dell’Etiopia, come riportato da antichi scritti greci, o ancora nelle terre oscure del medio oriente come si legge nel romanzo di Alessandro, ciclo di racconti legati alle gesta di Alessandro Magno: lui alla fonte ha attinto solo solo il carburante per la propria due ruote da lanciare sul filo dei 300 chilometri all’ora sui rettilinei della pista dove un amico di vecchia data l’aveva invitato a “provare” una sua moto da gara, e poi su un’altra pista e un’altra ancora. Già, perché quel primo invito, raccolto “quasi per scherzo” gli aveva subito fornito la conferma che gli anni non avevano affatto “arrugginito” il pilota pronto a ridare gas e a lanciarsi in pieghe da brividi esattamente come tre decenni prima, cucendosi addosso il ruolo da Highlander del motociclismo pronto a sverniciare chiunque. Come accaduto, per esempio, nel Trofeo Guzzi Endurance, gara in notturna in cui non solo è risultato vincitore insieme con il compagno Mauro Poloni ma anche il più veloce in pista. Come accadeva nella seconda metà degli anni ‘80 quando Alberto Rota sembrava lanciato verso l’Olimpo mondiale grazie a un talento che più di un “esperto” aveva definito straordinario, di quelli che nascono poche volte nella storia di uno sport. Un talento che il pilota bergamasco aveva mostrato fin dalla sua prima volta, sulla pista di Misano al via del campionato monomarca Honda VF400 F in cui aveva dato un saggio delle proprie capacità lasciandosi tutti alle spalle nelle prove libere e in quelle ufficiali per poi fare la stessa cosa andado a vincere la gara la domenica. Straordinario prologo di una ancora più incredibile stagione, conclusa con il titolo di campione. A conferma di un talento esibito di li a breve nel Trofeo Yamaha Supertrophy 500 che lo aveva visto al via in sella a una RD 500 acquistata grazie alla “complicità “ della mamma, appassionatissima di moto e sua prima tifosa. Risultati che di lì a poco avrebbero spinto i responsabili di Honda Italia a mettergli a disposizione due RS250 con Jean-Francois Batta, manager di Marco Lucchinelli e Alessandro Valesi, pronto a inserirlo nel team Iberna, che, ricorda Alberto Rota, “era una gran bella squadra”. Così come una grande squadra appariva a tutti quella della Servisco, che nel 1987 lo avrebbe visto schierato, al fianco di Ezio Gianola, sulla Honda 125 monocilindrica ufficiale. Il possibile inizio di uno straordinario sogno destinato però a svanire in fretta, con “moto che erano assolutamente standard, con ricambi che non c’erano, e quel che è peggio con la netta sensazione che ai “capi” non importasse niente perché si erano concentrati su nuovi progetti. Avrei dovuto correre tutto il campionato mondiale partecipando anche alle trasferte extraeuropee”, ricorda oggi con ancora la delusione dipinta sul volto Alberto Rota, per moltissimi suoi fans “Rotaia”, soprannome da lui stesso ideato, “ma alla fine andai solamente a otto gare e mi qualificai in quattro. Una stagione al disotto delle aspettative, vissuta con sensazione sempre più forte, gara dopo gara, di avere bruciato tutto quanto di buono realizzato fin lì”. Brutti presentimenti, ma con ancora una speranza, una carta da giocare: il campionato italiano dove tutto però aveva continuano ad andare storto, e non certo per colpa sua. “Il campionato si disputava su tre prove e nell’ultima mi sarebbe stato sufficiente un secondo posto per vincere il titolo”, ricorda Alberto Rota. “Si correva a Vallelunga, mi battevo fra la terza e la seconda posizione ma caddi alla curva Roma e il casco tricolore se lo aggiudicò Maurizio Vitali con la Garelli”. Tutto finito? Tutto pronto per i titoli di coda per quello che avrebbe potuto essere un “film da favola” sulla storia del motociclismo? Non ancora, grazie a un’ultima chance: correre nel campionato europeo 500 con un unico risultato possibile: vincere il titolo europeo a tutti i costi. Impresa assolutamente alla portata del giovane campione costretto a fare i conti con l’obbligo di toccare un po’ troppo i freni, per i suoi gusti, di “dover andare più piano di quanto avrei potuto pensando a portare a casa i punti. Una tortura ma l’importante era il risultato finale”. Puntualmente raggiunto: “terminando tutte le 11 gare e raccogliendo nove podi, di cui due sul gradino più alto, e con il successo finale conquistato con una prova di anticipo. “ Missione compiuta, autobbligandosi a non rischiare mai la caduta, fatta un’eccezione: “ a Misano dove non riuscii a trattenermi, partendo in pole position e vincendo davanti alla Cagiva di Massimo Broccoli, facendo anche il giro più veloce, migliore di quello fatto segnare l’anno prima da Pierfrancesco Chili con la Honda 3 cilindri ufficiale”. Nuove conferme di un talento destinato però a non brillare mai in tutto il suo potenziale splendore, non ostante per lui, a un certo punto, fossero “apparse all’orizzonte” perfino due Yamaha 500 messe a disposizione nientemeno che da Giacomo Agostini, la più grande leggenda delle due ruote. Un’opportunità svanita per lasciare il posto all’ipotesi di salire in sella a una Aprilia 250 ufficiale, “scomparsa” a sua volta per far trovare, alla fine, solo un’Aprilia 250 standard. ”Decisamente troppo poco per correre nel Mondiale, segnato da ultimi piazzamenti o addirittura ritiri”. Una stagione da dimenticare, fatta eccezione per due capitoli assolutamente imprevisti: la possibilità di salire in sella a due moto ufficiali, nella 500, offertagli angora da “Ago” per sostituire Freddie Spencer, licenziato per scarso rendimento. “Arrivai tredicesimo ma l’accordo era per due gare, invece in Brasile non andammo. Avevo limitato i rischi per prendere le misure a una moto che non conoscevo e puntare tutto sulla seconda gara,”. A conferma che in un mondo dove la velocità è tutto conta saper cogliere al volto ogni singola opportunità per non restare esclusi, fuori dal giro che conta. Destino destinato a restare segnato, per “Rotaia” dopo un’ultima chance arrivata al campionato italiano a Vallelunga con una Aprilia 250 ufficiale, speditagli, senza alcun preavviso dall’ingegner Witteveen, capo del reparto corse. “Partii quinto e feci una gran gara rimontando fino al terzo posto. Ero a 1 secondo da Reggiani e a 5 da Cadalora ma persi l’avantreno alla curva Roma e caddi. Quella gara avrebbe potuto cambiare il mio destino”. Fine dei sogni, dopo un’ultima stagione, nel 1990 Rota con una Aprilia 250 privata e la fine dei soldi perfino per terminare il campionato, con l’ultima gara in Svezia, “dove ruppi il motore e dove andarono in pezzi anche la mia stagione e la mia carriera motociclistica”, complice anche la scelta di “non pagare per correre, perché non lo avevo mai fatto tranne il primo anno. Però col senno di poi, se potessi tornare indietro… pagherei per continuare anche perché quegli anni non tornano più”. Vero, ma solo a metà. Perché nonostante gli anni non siano tornati, tre decenni dopo Alberto Rota è tornato in sella. “Una pausa decisamente lunga durante la quale mi sono dedicato all’attività di famiglia, il panificio, allargandola fino ad aprire cinque punti vendita con annesse caffetterie, ridotte poi a due in seguito alla pandemia da Covid”. Una vita “normale”, con le piste solo nei ricordi sempre più sbiaditi, con gli anni che passavano e le figlie che crescevano, fino a farlo diventare nonno. Senza che nessuno in famiglia potesse immaginare che potesse diventare un nonno volante, riaccendendo i motori e, con loro, una passione mai spenta. L’occasione gliel’ha fornita il Trofeo Guzzi Endurance: due garette, alle quali ho deciso di partecipare davvero quasi per scherzo nel 2021”, per poi, nel 2022 disputare invece tutto il campionato con una crescita costante di risultati, fino a tornare sul gradino più altro del podio, rivivendo, come in un fantastico viaggio nel tempo, “le stesse straordinarie emozioni che ho provato fin da piccolo, con quella passione per i motori che mi ha trasmesso mio fratello maggiore. Una passione che all’inizio mi ha guidato verso l’enduro e motocross ma che poi”, aggiunge ridendo, “girando per le strade con la Vespa, mi ha fatto rendere conto della vena per la velocità che a 21 anni, un po’ tardi, mi ha visto debuttare in pista”. Un po’ tardi, ma “prestissimo” rispetto al ritorno alle competizioni, da quasi sessantenne invitato a un evento con tanti piloti ormai solo “ex “ “Si festeggiavano i 10 anni della vittoria del campionato del mondo superbike e il proprietario del team Altea Genesio Bevilacqua all’improvviso mi ha detto se volevo fare una gara”. Neppure il tempo di riflettere e la risposta è arrivata. Probabilmente per chiunque altro la più inattesa: sì. “Ho fatto la gara fatta e viaggiavo a metà classifica, poi il caso ha voluto che iniziasse a piovere e sul bagnato sono stato il più veloce”, racconta Alberto Rota sempre più in difficoltà nel trattenere il sorriso così come i suoi familiari che, dice serissimo, “non solo non mi hanno dato del pazzo, anche se a qualcuno riuscirà difficile crederci, ma mi hanno spinto, con le mie figlie che sono immediatamente diventate le mi prime tifose, pronte ad accedersi a ogni nuova prodezza del padre e nonno volante” tornato in pista non certo per fare la comparsa ma il protagonista. Per vincere, applaudito “dai tanti amici che ho ritrovato sui circuiti”. Primi fra tutti quelli della “sua scuderia”, la Norelli, dove sono stati in tanti a credere nel suo ritorno nonostante la carta d’identità. “Massimo Sironi ed Enzo Paris, su tutti. Sembravano non avere il minimo dubbio sul fatto che potessi ancora dire la mia. A Massimo Sironi, scomparso dopo aver lottato come un leone per anni contro la malattia, avrei voluto regalare ancora qualche vittoria. Il fatto che abbiamo creduto così tanto in me mi ha spinto a dare ancora di più, ha avuto l’effetto di uno straordinario propellente. Di cui avrei avuto un gran bisogno trent’anni fa quando però le cose stavano in modo ben diverso da oggi che ci sono moltissimi team e i piloti che andavano avanti erano pochi. Con un ostacolo in più per un bergamasco, o comunque un lombardo: in pole, nelle scelte, c’erano i piloti dell’Emilia Romagna. Loro partivano avvantaggiati….”. Nonostante Alberto Rota, affascinante ed elegante, piacesse anche a molti sponsor attenti all’immagine per un ritorno dei propri investimenti….” . Tanti anni e molti capelli fa” conclude regalando un’ultima risata Alberto “Rotaia” Rota, ricordando il suo idolo di allora che gli aveva ispirato il soprannome, Jhonny Ceccotto, ma ricordando soprattutto che è giunta l’ora di dedicarsi alla nuova informata di pane pronto ormai cotto. Pane fatti con diverse materie prime (per chi va in moto consiglio quelli ricchi di fibre che fanno bene mentre chi non fa sport poveri di carboidrati e ricchi di proteine) e ogni forma (in attesa magari di crearne uno “a tema motociclistico”?) da mettere in vendita ai clienti che affollano il punto vendita di via Spaventa fino all’ora di chiusura, per tornare a casa, cenare e tornare a con centrarsi sulle moto, sulla nuova stagione da disputare da protagonista, “grazie anche a due straordinari meccanici come Fabio Gimignani e Maurizio Fantini , grazie al grandissimo direttore sportivo Marco Calvi, allo sponsor , Fausto Oldrati, e con un grande compagno di squadra come Emiliano Bellucci. E grazie ai tantissimi amici della Norelli”. Scuderia che si sta avvicinando ai suoi primi 60 anni, età in cui per molti la moto è diventata ormai un oggetto da lasciare in garage. Ma non per i norellisti e per i loro piloti. A cominciare da “Rotaia” Rota che la moto, a 60 anni, la accende per lanciarla a 300 all’ora e in pieghe da urlo che ogni volta, assicura, lo fanno sentire un ragazzino. Una moto che su di lui ha l’effetto della più leggendaria e magica delle fonti della giovinezza….